Castel Gandolfo – la nascita del borgo

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tratto dalla pubblicazione

“Dalla Leggendaria Alba Longa a Castel Gandolfo”

di Graziano Nisio

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Urbano VIIINel 1623 venne eletto pontefice, con il nome di Urbano VIII, il principe fiorentino Maffeo Barberini. Fu il primo papa che dette lustro all’antico castello ricostruendolo.

Valente poeta, si circondò di grandi artisti come Carlo Maderno, Gian Lorenzo Bernini, Pietro da Cortona e Andrea Sacchi .

Già da prelato, possedeva una piccola abitazione addossata al vecchio maniero dei Gandolfi ed esattamente al piano superiore del Torrione cinquecentesco presso la Porta Romana. Divenuto cardinale, anche il castello divenne di sua proprietà. Tra le prime opere del suo pontificato privilegiò il restauro del castello trasformandolo in palazzo pontificio e futura residenza estiva.

mADERNOI lavori iniziati nel 1624 terminarono nel 1626, egregiamente condotti dal grande Carlo Maderno, affiancato dai sottoarchitetti Bartolomeo Breccioli e Domenico Castelli, altri due geni facenti parte del gruppo dei ticinesi (il Braccioli, poi sostituito con il Borromini, era parente di Filippo, ex assistente del Maderno. Il Castelli invece, era un parente stretto del Borromini).

Dal 1629 al ’31 vi furono gli interventi sulle opere pubbliche. Dopo la piazza, due vecchie mulattiere vennero trasformate in belle strade alberate in seguito denominate “gallerie” per le coperture a voltabotte dei secolari lecci

Ancor oggi la “Galleria di sopra”, detta anche via “dei Cappuccini”, collega Castello ad Albano ed alle altre località sul ciglio ovest del lago.

Invece la “Galleria di sotto”, recentemente intitolata a Giovanni Paolo II°, portando ad Albano, collega Castel Gandolfo con la via Appia e le altre località a valle verso il mare.

Dal 1633 al ’37, furono sistemati i giardini ed il muro di cinta del palazzo pontificio. Il portale in peperino dell’entrata sulla via di Marino (con lo stemma di Urbano VIII) fu disegnato dal Bernini ed eseguito il 9 maggio 1637 dallo scalpellino Gregorio Fontana dietro compenso di 190 scudi – (durante i restauri del 1939 fu sostituito da un anonimo cancello di ferro e due colonne in laterizio).

Naturalmente queste spese e tutte le altre che papa Barberini fece a Roma e nello Stato Pontificio furono coperte dalle solite tasse e da tanti curiosi balzelli che ai romani, eterni brontoloni, proprio non andarono a genio.

Per bocca Pasquinodi Pasquino (la celebre statua parlante romana) avevano già accusato “papa gabella” di aver depredato i bronzi del Pantheon per le opere berniniane in San Pietro e per fondere i cannoni per le sue guerre. Papa Urbano non se la prendeva, anzi! Ravvisato che quelle rime avevano un vago odor di sagrestia, decise di tassare persino il clero !

Nel giugno 1630 ad esempio, concesse a pagamento il titolo di “Eminentissimo” ai cardinali che che si erano lamentati dell’“Illustrissimo”, riservato ai principi. Più tardi anche ai vescovi accordò il titolo di “Eccellentissimo”.

E dire che a quel tempo le casse pontificie non erano proprio al secco viste le buone entrate dell’Anno Santo del 1625 e quelle dei successivi sette Giubilei straordinari che papa Urbano VIII indisse con varie motivazioni.

Tutto sommato era un buon amministratore considerando tutte le belle opere che ci ha lasciato. Ovviamente non amava essere contraddetto.  L’unica voce ad opporsi, come sopra accennato, era quella virtuale di Pasquino, il torso marmoreo di Parione con i bigliettini che gli venivano appesi al collo clandestinamente.

Gli autori (come sopra accennato) non venivano certamente dal popolo, allora in gran parte analfabeta. Quei versi in latino maccheronico sapevano troppo di sagrestia per trarre in inganno il papa poeta che bonariamente lasciava andare.

Con tutti i rischi che si potevano correre ad essere sorpresi dalla guardia pontificia, Pasquino trovava sempre qualche povero diavolo che, per un tozzo di pane, era disposto ad appendere il fatidico fogliettino. Delle numerose pasquinate di cui fu oggetto papa Urbano, la più famosa è rimasta questa:

 “ quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”

 

Le opere di Urbano VIII a Castel Gandolfo vennero riprese quindici anni dopo con papa Alessandro VII, Fabio Chigi.

Alessandro VII
Nel 1659, venne iniziata la bella chiesa dedicata a San Tommaso da Villanova che rese necessaria la demolizione della parrocchia di San Nicola e l’Oratorio del SS. Sacramento sorti appena 45 anni prima in s
ostituzione della chiesa di San Michele (anch’essa abbattuta nel 1661 per far posto alle dodici stanze per l’alloggio della Guardia Svizzera).Villanova

Tutti questi cambiamenti costituirono un grave affronto ai sentimenti religiosi dei castellani che, devotissimi a San Michele sin dai tempi antichi, non esitarono a scendere in piazza.

A calmare gli animi provvide il cavalier Gian Lorenzo Bernini con una delle sue spettacolari sortite.

Avendo già ultimato la chiesa con una copertura a tetto, d’accordo col papa, l’8 ottobre 1660 la trasformò dotandola di una bellissima cupola alta ben cinquanta metri.

La chiesa venne quindi dedicata a San Tommaso da Villanova ed il papa gratificò il popolo castellano istituendo nel 1661 una prestigiosa confraternita, la Pia Unione della Coroncina per la devozione della Vergine Immacolata.

Nello stesso anno, la piazza venne abbellita da un altro capolavoro berniniano : la fontana, il cui disegno è ispirato alla pianta di San Pietro. I quattro zampilli vennero alimentati dalle sorgenti del Malaffitto.

Durante la costruzione di tutte queste ed altre opere, oltre alle antiche chiese, fu necessario qualche altro sacrificio : l’abbattimento del forno appena inaugurato nel 1660 e l’eliminazione dell’arco sormontato dal vecchio orologio comunale per far posto alle mura che avrebbero costituito la nuova e attuale facciata del palazzo.

L’austerità iniziale impressa dal Maderno con un semplice portone ed uno scalone, venne ingentilita da un maestoso portale a grandi bugne sormontato dallo stemma di papa Chigi-Alessandro VII ed alcune lapidi commemorative.

Più in alto, nel 1749, venne inserita la Loggia delle Benedizioni coronata dal quadrante dell’orologio alla romana a sei ore di finissimo mosaico cinquecentesco.

 

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